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MAYDAY 2008 ALLE MINIERE ABBANDONATE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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problems fucking problems

abbiamo sessanta, dico sessanta foto de puta madre da uploadare…
purtroppo un po’ noblogs un po’ le tecnologie del luogo non ci permettono di pubblicarle.
siamo scesi fino alla punta del sahara occidentale, a Dakhla, domani valichiamo la frontiera della Mauritania.
tutti i racconti, e possibilmente le foto, a quando torneremo in zone coperte da tecnologie un po’ più avanzate.
inch’allah!

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DALLE GOLE AL MARE

Avvicinandosi alle gorges du todra il paesaggio cambia di nuovo, abbandonato il deserto di sabbia ci si para davanti prima un ventosissimo deserto di montagna fatto di rocce scure e qualche ciuffo d’erba e poi andando avanti il panorama delle oasi circondato da profondissime gole ci appare mozzafiato. Ci infiliamo con Rodrigo in piccole strade sterrate larghe al massimo 10 metri in mezzo ad altissime pareti a strapiombo alte almeno una cinquantina originate dal piccolo torrente che le attraversa da secoli. Li ci fermiamo per la notte. Dopo aver lavato noi e i nostri panni nel fiume, spronati dal sole a picco e dal fresco vento che si insinua tra le rocce, conosciamo un giovane del posto che gestisce una piccola tenda sul fiume assieme a un suo amico del Mali che all’unanimità viene soprannominato Pelé per la strettissima somiglianza col fenomeno, ma la cui abilità principale é legata alla musica. Con lui sperimentiamo le nostre capacità di musicisti con gli strumenti locali, ovvero tamburi, tamburelli e una sorta di chitarra con la cassa armonica fatta di pelle di qualche animale il che lo rende un ibrido tra uno strumento a corda e uno a percussione. Prima di continuare per Ouarzazate deviamo per le gorges du dades e ci fermiamo a cenare su una meravigliosa terrazza a picco sul solito torrente artefice dell’incredibile erosione. Siamo un po’ in ritardo e vorremmo pagare il conto per rimetterci in viaggio, ma la preghiera della sera alla quale in molti partecipano proprio sulla terrazza del ristorante ci costringe ad assistere alla calata delle tenebre che trasformano il paesaggio in un affascinante scenario gotico, con protuberanze di roccia che sembrano “gargoiles”. Finalmente arriviamo ad Ouarzazate e, parcheggiato Rodrigo in un camping sorvegliato da un tipo poco raccomandabile, cerchiamo un barlume di vita notturna dato che la città é internazionalmente riconosciuta come la Hollywood magrebina. Quello che troviamo é una sorta di piano-bar con ballerine che ricordavano più gli ippopotami in tutù di Fantasia che l’immaginario comune delle danzatrici del ventre. Fumiamo una “shisha” (narghilè) e ci facciamo solare con degli shot di vodka annacquata che costano il doppio rispetto a Milano. La reputazione di Hollywood magrebina é ben confermata dal museo del cinema e dagli studios a pochi chilometri dal centro cittadino in cui sono riprodotte perfette scenografie utilizzate per numerosi film europei e americani. Gironzolando per la città conosciamo Walid “il rastamanno” che ci invita a casa sua, questa volta non per offrirci il whisky berbér, ma per chiacchierare di musica. E’ l’ultima sera di Anita, alle 4 del mattino deve prendere un autobus che la porterà fino a Marrakech; la accompagniamo al taxi e nel momento in cui lei se ne va un cucciolo di pochi mesi ci avvicina e non si scolla più da noi. La tenera età, gli occhioni, i maltrattamenti degli altri passanti e la fatalità ci convincono che la piccola é l’ “hi-fi dog” oltretutto occupa molto meno spazio e soprattutto parla molto meno di Anita! Ovviamente il nome sarà “Saha” anche se per comodità la chiamiamo spesso Raja, come la bambina delle valli del rif. Mare, abbiamo voglia di mare, anzi di oceano! Da quando siamo scesi dalle “grandi navi veloci” non l’abbiamo più visto. Puntiamo verso Essaouira superando Marrakech e fermandoci al bordo di una strada per riposare qualche ora. La visione dell’Atlantico ci galvanizza anche se il vento, che qui soffia 12 mesi all’anno, spegne i nostri sogni di bagnanti; non a caso in acqua ci sono solo windsurfisti protetti dalla muta. La medina é molto bella, colorata e ricca di odori, ci sono ovviamente numerosi turisti che però qui sembrano differenziarsi dallo stereotipo “zainetto, bermuda e guida in mano”. Si tratta per lo più di surfisti, fricchettoni e qualche coppia di vecchietti francesi. Nel nostro campeggio solo vecchietti francesi, vai a capire dove alloggiassero le surfiste… Le tre sere che trascorriamo qui ci facciamo tentare dai locali notturni dove facciamo conoscenza con turist* e autocton*. Check di Rodrigo, visita dal veterinario per Saha/Raja, salutiamo gli amici e ripartiamo verso sud, alla volta di Agadir, bella e moderna, abitata da marocchin* bell* e modern*. Sulla lunga e sabbiosa spiaggia finalmente trascorriamo la nostra prima vera giornata “da vacanza al mare”. La troppa gente e i numerosi turisti però ci suggeriscono di rimetterci in viaggio alla volta di Sidi Ifni (Santa Cruz del mar pequeno), piccolo paese costiero rimasto sotto l’influenza spagnola fino a pochi decenni fa. Spiaggia deserta, tintarella e bagni rapidissimi tra i cavalloni; si, qui si sta proprio bene.

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SAHA

SAHA
Saha é la parola araba che rappresenta questa parte del viaggio. Saha é il suono che Leone emette la mattina quando si sveglia e la sera quando stiamo per addormentaci, nonché un numero considerevole di volte durante la giornata, inserita o meno nel contesto, il tutto per esercitarsi in un suono della lingua araba a noi sconosciuto. Saha é l’equivalente del nostro bella, lo usano sempre: sia quando ti portano un te al bar, sia quando finiscono di darti un informazione che il più delle volte, chissà come mai, é “tout droit!”, sia quando si presentano e ti stringono la mano. Insomma é la parola più usata nelle conversazioni fugaci che intraprendiamo. Abbandonati i dubbi di “mumkin” ora il nostro motto é “saha”, bella! Siamo carichi, Siamo sul pezzo!
Il viaggio dalla sourse bleu -a.k.a. ti faccio gli animaletti con le foglie di palma e poi ti do la sola- a Merzouga non é lunghissimo, ma riusciamo lo stesso a ritardare dato che ci fermiamo più di due ore in un villaggio all’apparenza disabitato, ma che si popola prima di bambini poi di donne e infine di adulti maschi nel momento in cui portiamo i nostri culi bianchi all’interno delle mura grezze e tondeggianti che circondano il villaggio. Ci invitano a visitare una madrassa (scuola) femminile in cui insegnano a leggere il corano e a confezionare con telai e macchine da cucire bellissime tovaglie, grembiuli e manufatti locali. Conclusi alcuni affari, che andranno a sovvenzionare il progetto, ci spostiamo nella sobria ma elegantissima dimora del presidente dell’associazione, non a caso un uomo, che in un buon francese ci spiega le loro attività mostrandoci attestati firmati da chi sa quali autorità locali. “Monsiuer Le President” ci guida poi nel suo giardino dove con orgoglio ci mostra le sue piante e il suo sistema di irrigazione elettrico, moooolto rudimentale, che prende acqua da una grossa cisterna aperta.
Ci incamminiamo a stento fra braccia dei bambini e delle ragazze verso Rodrigo dove però ci attende una brutta sorpresa: la trombetta prestataci dalla Carlotta, soggetto protagonista di molte riprese soggettive durante gli spostamenti, nonché nostro unico clacson, non c’é più. Fatto presente ciò, in tono amichevole, riceviamo la garanzia dal “Presidant” che al nostro ritorno da Merzouga la trombetta sarà saltata fuori, stranamente ci fidiamo, sarà stata la stretta di mano immortalata da una foto tra i due presidenti (l’altro é il berra ndr).
Arriviamo a Merzouga un’ora prima del tramonto e la piccola cittadina con le strade sterrate ci appare subito una tipica e iconografica città di frontiera: oltre Merzouga il nulla, la strada diventa una pista che si perde nel forte vento che ci preannuncia quanto i nostri occhi cittadini, abituati allo smog, patiranno le pene dell’inferno, qui nel Sahara. E’ li, davanti a noi, rosso come il fuoco. Uno si immagina il deserto di sabbia come un grosso spiaggione senza mare, color giallino/dorato. Invece no, cazzo, é rosso rosso, quasi fluo, e Merzouga sembra una villetta californiana circondata dalle fiamme.
In giro per Merzouga poco e niente, qualche negozietto, i soliti acchiappa-turisti che qui al posto del te berbér offrono la possibilità di fare escursioni con potenti “Hummer” e dei curiosi benzinai che al posto delle pompe hanno le taniche e che vendono il gasolio a un prezzo più alto anche dell’Italia quando in tutto il Marocco é poco più della metà.
Nei paraggi, in mezzo a baracche fatte di fango e paglia, si stagliano una mezza dozzina di riad, alberghi di extralusso costruiti con i materiali locali, ma dalle fattezze principesche.
E’ proprio in uno di questi che ci fermiamo, Anita é già stata qui un anno e mezzo fa e conosce bene il proprietario Nasser, un benestante berbero che vive tra Barcellona e le dune.
Il Nasser Palace ci lascia tutti a bocca aperta, lo scenario é da mille e una notte: attorno a una piscina, il cui fondo é fatto tutto di piastrelline grosse come francobolli, si affacciano le curatissime stanze e il raffinato ristorante in stile arabeggiante. Fuori dall’albergo, davanti a noi, il nulla; una piccola fila di palme e subito dopo le dune verso est che al tramonto sembrano ancora più infuocate.
La nostra sistemazione, dato che le camere erano tutte occupate, é in una delle tende berbere montate sul retro dell’hotel. Tende fatte di tappeti e coperte in puro stile “berbèr”! Trascorriamo la serata attorno a un fuoco con una comitiva di turisti arabi danzando in maniera forsennata al ritmo della musica “gnawa” suonata da un gruppo di musicisti sudanesi e dopo qualche ora sveniamo soddisfatti nelle nostre tende. Il risveglio é “de grand class”: bagno in piscina, colazione servita su tavolini a bordo vasca, tintarella e relax totale.
Verso le 17 si presenta Hassan, un beduino del deserto tutto di bianco vestito che ci guiderà tra le dune nella nostra escursione nel Sahara. Qui aprirei una parentesi su Hassan, la prova vivente di quanto i berberi beduini siano molto più riservati e “fottesega” di tutti gli altri. Hassan non parlava tanto e non aveva voglia di sentire parlare troppo, come a voler rispettare il silenzio del deserto, ma non era affatto scorbutico, anzi: scherzava in modo molto british, sorrideva e ci spiegava in maniera sillabica ma efficace tutto ciò che ci circondava.
Chiusa parentesi, saliamo sui dromedari e via a serpeggiare tra le dune sballonzolando per il ritmo dei nostri animali/mezzo di trasporto, idea che un po’ fa prendere male me e il berra, animalisti convinti, e perplessi dall’idea di sfruttare un animale in quel modo; perplessi anche dal fatto che la nostra guida é invece a piedi e con pure un tallone infortunato.
Dopo aver visto il tramonto dalla cima di una duna e aver provato l’ebbrezza (io&leo) di surfare con il nostro snow/sandboard lungo i pendii di sabbia, ci dirigiamo al nostro accampamento che si trova proprio ai piedi della duna più alta del Sahara nord-occidentale.
Ora, non so se quella duna a solo un ora di cammino dalla civiltà é veramente la più alta o é solo un modo per attirare maggiormente i turisti, anche perché chi é che potrebbe controllare, sta di fatto che si stagliava enorme davanti a noi come un grosso triangolo scaleno, con pendii ripidissimi e salite più accessibili proprio sulla cresta della duna.
Prima di cenare ci abbandoniamo scalzi in una passeggiata al buio in mezzo alle dune con diverse reazioni in ognuno di noi: chi pensava agli insetti nella sabbia, chi a rispolverare nozioni confuse di orienteering e di esplorazionismo e chi ad urlare a squarciagola turpiloqui in arabo. Durante la cena a base di tajine, la sorpresa: il ticchettio delle gocce sulla tenda non inganna il mio fine orecchio da ex-scout: cazzo, sta piovendo, siamo nel deserto del Sahara, che già a pronunciarlo esprime siccità, e sta piovendo. Saha.
Non dura molto, e “tornati fuori a riveder le stelle”, che qui sono davvero tante, ci addormentiamo all’addiaccio circondati solo da sabbia e gli scarafaggioni del deserto.
La visione dell’alba in cima alla duna più alta é un po’ un pacco, almeno per me che credevo di vedere chissà quali colori; all’orizzonte c’è foschia e quando il sole si staglia bene é già abbastanza alto e soprattutto é difficile guardarlo bene perché il vento mischiato alla sabbia é letale ed é difficile tenere gli occhi aperti nonostante abbia ben imparato a fare il turbante/accrocchio da tuareg.
Torniamo di nuovo in sella ai ruminanti nonché forti defecatori (il deserto del Sahara é veramente pieno di merda di dromedario che qui chiamano amabilmente “chocolate”) e torniamo sulla terraferma. Lungo il tragitto incontriamo un altra carovana alla quale ci accodiamo il che permette ad Hassan di defilarsi e sfuggire alle insistenti domande di Anita.
Dopo un ennesimo bagno in piscina ripartiamo verso la zona delle gole, in direzione Ouarzazate fermandoci però prima al villaggio di “Monsieur Le Presidant” dove come previsto ci fanno riavere la nostra trombetta.
Saha!

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MUMKIN


Durante la seconda
settimana in Africa “mumkin” diventa la parola che ci sembra più adeguata da
usare. “Mumkin” significa forse e funziona molto bene sia per declinare
gentilmente le richieste insistenti dei berberi di barattare e di prendere un
te (a loro piace molto chiamarlo whisky berbér) sia per decidere tra di noi la
strada da seguire e le soste da fare. Mumkin è la versione laica di inchallah e
si può inserire, almeno noi lo facciamo, in qualsiasi frase.

I berberi sono
simpatici ed accoglienti ma nei nostri confronti, o almeno in quelli dei
viaggiatori comuni, vivono di luoghi comuni. Per esempio non appena scoprono
che sei italiano dicono tutti gli stessi giri di parole.  Nettamente in testa alla classifica delle
frasi ripetuteci dai berberi vincono “no alpitour? ahi ahi ahi” e “chi va piano
va sano e lontano” (se però non gli stai simpatico diventa ”piano piano c’hai
la testa come l’ano”). Subito dopo vengono “Milano?a.c. milan o inter?” ,
“gattuso!”, “visita alla conceria?”. Per tutti i turisti poi c’è la condanna
del whisky berber, del cous cous con la famiglia e del baratto che a volte sono
piacevoli ma almeno altrettante volte viene voglia di fare altro.

Dopo esserci lasciati
alle spalle le verdi montagne del Rif maciniamo chilometri verso sud con
l’intenzione di raggiungere il deserto nel più breve tempo possibile ma alcune
soste sulla strada sono inevitabili per i paesaggi mozzafiato che ci si aprono
davanti e per dare il il meritato riposo a Rodrigo, il nostro caro mezzo di
locomozione. Ci fermiamo una notte ad Azrou, nel Medio Atlante, una ridente e
ricca cittadina di montagna che di inverno è una stazione sciistica, mentre
un’altra notte ci accampiamo sulle rive di un lago molto scuro e profondo dove
al mattino veniamo svegliati, a parte il berra che continua a dormire, da una
famiglia numerosissima di bertucce. Saranno state almeno una quindicina, e per
lo più si sono dimostrate abili assai nello smonnezzamento e nel litigare fra
di loro. Qui io e il Fonca abbiamo avuto voglia di metterci nudi a spulciarci
come insegnavano loro e ne è venuta fuori una specie di performance che forse
farà storia.

Rodrigo corre sugli altipiani infiniti che precedono la nostra discesa
verso il deserto. E’ il 1° di Maggio e ci viene voglia di fare una deviazione a
tema. Svoltiamo a sinistra e ci dirigiamo verso una zona mineraria abbandonata
nei pressi di Midelt. Così festeggiamo la festa dei lavoratori visitando un
luogo che fu tempio del lavoro e ora in si trova in disuso, abitato dagli
ultimi dei mohicani che ci vivono martellando le rocce in cerca dei pochi
minerali rimasti. Da queste parti una volta c’erano enormi miniere di argento e
di piombo. Ci addentriamo nel nulla sino ad arrivare a un paese fantasma una
volta abitato da numerose famiglie di minatori e oggi abbandonato a se stesso e
abitato da minatori indipendenti e coraggiosissimi che si inoltrano da soli
nelle vecchie miniere per estrarre ciò che è rimasto. Un signore molto gentile
si offre di farci fare un giro nelle miniere e nei villaggi, ci fidiamo e
facciamo bene. Ci porta per
una strada che non viene sistemata dagli anni 70, tipo ponti
di legno marcio e guadi su ruscelli, Rodrigo soffre parecchio ma quando
arriviamo alle cave ..wow!!!

Ai bordi di un fiume dall’acqua marroncina, si sviluppa un susseguirsi
di cave e grotte dove i pochi abitanti rimasti vivono in maniera molto
disagiata ma con moltissimo orgoglio, ci offrono whisky berber cucinato su falò
o fornelletti di fortuna e ci riempono le tasche di fossili e minerali che
altrimenti andrebbero a vendere ai turisti ai bordi delle strade. Non vogliono
niente in cambio, sono solo felici del fatto che ci siamo spinti fino a loro,
alla fine gli diamo un tot di vestiti e li costringiamo ad accettare pochi
dirham per l’averci fatto da ciceroni in questo luogo fuori dal tempo e fuori
dal mondo. La miniera ha chiuso, la società va avanti ma loro sembrano non
farci caso. Anche noi dobbiamo andare avanti: il deserto ci attende. Abbiamo
conosciuto famiglie di soli uomini a cui abbiamo
regalato ciò che ci è rimasto
da dare. Alla fine della giornata siamo molto contenti di aver fatto la
conoscenza di questa gente, veramente povera ma veramente fiera.

A questo punto siamo di buon umore e ci viene voglia di fare anche noi
la nostra May Day. fuori le casse, ci tiriamo in mezzo un gruppo di ragazzini
molto perplessi e iniziamo la street. Sembriamo pazzi ma il cielo è bellissimo
e lo scenario il più adatto possibile, secondo la questura eravamo in quattro
secondo gli organizzatori anche
.

La sera raggiungiamo infine Er Racchidia ultima vera città prima del
deserto che confina con l’Algeria. Qui dormiamo in una bettola e passiamo un
giorno intero a mettere il mezzo a punto per la sabbia e il suolo.
Verso il Sahara
sostiamo nella prima oasi che incontriamo che in realtà si dimostra un vile
campeggio per turisti marocchini ed europei. Qui i bambini sono
organizzatissimi, la sera ti riempiono di regali, chiacchierano e si confidano.
Diventano amici. Ma al mattino appena svegli ci pressano per andare a bere il
the nel negozio dei genitori, facendo il faccino triste e dicendo che gli
avevamo dato la nostra parola d’onore. Quasi costretti e un pò delusi, come i
migliori turisti alpitour, compriamo e scuciamo.

Finalmente Sahara

Berra e Leo

 

PHOTO:

PLANET OF APES 

 

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IL RIF…tisballakair e tisballadibrutt

 

Da Fes ci dirigiamo
verso il Rif, attraverso una una tortuosa strada di montagna che appare più
rovinata man mano che ci avviciniamo alla nostra meta: un piccolo paese abitato
dai contadini amici di Anita che ci ospiteranno nei prossimi 4 giorni.

La storia del Rif è
particolare. Il governo marocchino si è volutamente disinteressato di questo
splendido pezzo di Marocco, che ha sempre sognato e combattuto x la repubblica.
Abbandonati a se stessi gli abitanti, secolari coltivatori di kif, hanno
iniziato a produrre hascish, diventandone i maggiori produttori mondiali.

Il re ha così lasciato
che questi contadini ribelli continuassero a produrre una sostanza illegale che
comunque da al paese un giro di affari miliardario, tra sbirri corrotti,
mafiosi occidentali e tony montana vari ne girano di soldi, mentre i contadini
lavorano la terra e ci guadagnano il minimo…il bello della globalizzazione.

L’ospitalità della
famiglia che ci ha accolto era all’inizio spiazzante e imbarazzante, ma
l’esperianza è stata indimenticabile. Ci siamo ritrovati in una valle ai piedi
di una delle montagne più alte del paese e per 4 giorni siamo stati coccolati e
trattati come persone di famiglia, abbiamo dormito nel salotto buono, ci sono
stati offerti 4 pasti al giorno, durante i quali il Fonca ha ceduto al pesce,
io mi sono destreggiato con disinvoltura pescanco le verdure nel piatto dal
quale si mangia tutti insieme mentre Leo e Anita si ingozzavano x la gioia
delle donne di casa che ci preparavano mille prelibatezze.

Di giorno si alternavano
visite ai campi, match a pallone e chiaccherate improbabili con un mix di
arabo, francese e gesti.

Abbiamo importato 1,2,3
stella! che ha spopolato tanto che ci siamo ritrovati a giocarci in 15 in un
portico di 2 metri x 4; Fonca e Leo hanno insegnato dei richiami x uccelli che
già il giorno dopo rieccheggiavano x tutta la valle.

Abbiamo ribaltato la
consuetudine che vede gli uomini in una stanza e le donne nell’altra, abbiamo
ballato con le ragazze nella loro stanza con il sorriso compiaciuto della
signora nonna (una berbera di un età indefinita, tatuata sul mento, che parlava
con una voce profondissima, il mio mito personale), abbiamo preso lezioni di
arabo, berbero e marocchino da esimi e pazienti professori, ovvero i bimbi del
villaggio che ogni 5 minuti ci interrogavano sui nostri progressi, un pò
scarsini a dire il vero.

L’ultimo giorno abbiamo
fatto una gita x raggiungere la vetta a 2000 metri, noi 4 più un piccolo
esercito di bambini che aumentava di salita in salita, io per poco non morivo d’infarto
x tutto quel camminare e infatti sono stato preso in giro anche dai più piccoli
che mi chiedevano se volevo aiuto….ma sono tornato tutto intero.

La mattina partiamo non
prima di aver regalato vestiti e libri in francese, tirati da tutti x rimanere
e con il dispiacere di andarsene…in poche parole siamo stati veramente bene,
immaginatevi di essere a 2000 km da casa e trovarne una con nonna, mamma,
sorelline fratellini, zie e zii che ti trattano come uno di famiglia senza
chiedere niente in cambio…difficile da spiegare bisogna provarlo.

I piccoli: Nordin il re
del moccichino, Fatima la mia prof di arabo, Hannan una punk inconsapevole di
esserlo, Monrad il capo indiscusso, Moammid il piccolino, Moammed il
rompiscatole, Raja che ci svegliava ogni mattina con un sorriso e una
linguaccia, Salim con le slekka rosa, Marjane la cuoca migliore del mondo, Ujda
la silenziosa e poi tutti grandi: Abdul che si sbatte x dare l’acqua corrente
alla sua famiglia, la signora mamma e la signora nonna, Abdulkarim che mi porta
in giro nei peggio posti, Ahmed…..

Ora si ritorna indietro
e si va verso il deserto.

Berra

PHOTO:

LA MORTE NERA SI AGGIRA X FES

CON GLI AMICI DI FES

LA VALLE

 

  

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123, prova….

rieccoci, siamo stati in posti in cui internet se c’era non andava, per questo motivo abbiamo un po’ trascurato il blog.

ora siamo ad essauira, finalmente un po’ di relax.

tra oggi e domani vi aggiorneremo in maniera cospicua, con foto e racconti, su tutto quello che abbiamo fatto (che è già tantissimo e tra poco non ci ricordiamo più tutto….)

 

 

questa è anche una prova perchè non siamo sicuri di aver capito come funziona sto cazz’ di blog…

ma’salama

 

saluti da fonca_berra_leo_saha!!!

 

 

 

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START_AFRICA

HI-FI AFRICA 1° GIORNO

Dopo un viaggio in nave di 52 ore scandito dalle pessime cene offerte e i film trasmessi da grandi navi veloci, siamo arrivati al porto di Tangeri tangerdove ci aspettava una coda di 2 ore, nonché una rasoiata di mance ai vari portuali.Il tempo di un rapido consulto e ci fiondiamo in un albergo di buon livello per la meritata igiene che latitava da troppo tempo e poi fuori per la cena in un piccolo ristorante gestito da un gentilissimo berbero originario dei monti sopra Casablanca, in cui troviamo ottimo cibo anche vegetariano a dispetto di quello che si dice sull’essere “veggie” in Africa.La mattina, dopo un sonno di sasso, sbagliamo subito strada dirigendoci verso Ceuta; tornati indietro prendiamo l’autostrada per Rabat e usciti in direzione Fes/Meknes attraversiamo le affascinanti strade costeggiate da secolari cedri che ci portano nell’interno della regione. In  ogni paese in cui passiamo tutti ci guardano e ci invitano a consumare la loro merce, da sacchi di patate a torridi pezzi di carne appesi.

Si nota una grande differenza tra paese e paese, si passa da piccoli villaggi di lamiera e fango a ridenti cittadine popolate da giovani che si vestono come alcune ragazzine italiane.

Finalmente raggiungiamo Fes

 

e il nostro “contatto”, Anita,

 

 che parla  benissimo arabo e ci presenta i suoi amici Mohammed, Achmed, Youssuf….insomma i nomi sono questi a rotazione!Ci portano nella loro casa, mangiamo nel loro piatto e dormiamo nel loro salotto: la loro ospitalità é incredibile.Dopo aver consumato ingenti quantità di “primizie” del luogo sia nelle cartine che nelle zucchine, andiamo a letto.

La mattina dopo Akmed ci porta a una delle entrate nella medina e per tutto il giorno ci  avventuriamo per i minuscoli e caotici vicoli.

Lo scenario non poteva essere più variegato: conosciamo artigiani di ogni genere dai liutai ai vasai passando per arrotini, fuochisti e conciatori.

 

 

Conosciamo un ragazzo di una famiglia di conciatori berberi che ci guida nei loro laboratori di tinta e conciatura delle pelli, nonché in un mercato abusivo di robivecchi in cui riusciamo a fare riprese grazie alla sua protezione.

 

 

Purtroppo alla fine del giro, quella che sembrava generosità incodizionata si é rivelata una richiesta di denaro “risolta”, dopo una lunga contrattazione, con la cessione di due pacchetti di sigarette e una maglietta con su scritto “iononcalo.it”!

Conosciamo anche un muezzin della scuola coranica (madrasa) più famosa di Fes  che perdendosi in chiacchere con noi deve poi correre quando si rende conto di aver ritardato per fare il richiamo alla preghiera sentendo che gli altri avevano già iniziato.

 

 

Mangiamo, sorseggiando te alla menta, su una bellissima terrazza con una splendida visuale sulla città e sul suq sottostante, attorniati da mansueti gatti randagi.

 Calata la sera ci perdiamo tra i mille cunicoli che sembrano tutti uguali e ci facciamo aiutare da alcuni bambini, che aumentano di minuto in minuto, e che ricompensiamo poi con caramelle, penne e un pallone nuovo di zecca.Usciti dalla medina prendiamo due “petit taxi” che ci riportano a casa del nostro ospite.Domani dopo aver recuperato quello che ancora ci manca per Rodrigo, il nostro camper, si parte: destinazione Ketama; ce ne andiamo in valle dagli amici di Anita.Se avete troppa nostalgia anche della nostra voce o non potete aspettare il nostro prossimo upload, questo é il nostro numero di cellulare marocchino:00212.52544019

BERRA.FONCA.LEO

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