MUMKIN


Durante la seconda
settimana in Africa “mumkin” diventa la parola che ci sembra più adeguata da
usare. “Mumkin” significa forse e funziona molto bene sia per declinare
gentilmente le richieste insistenti dei berberi di barattare e di prendere un
te (a loro piace molto chiamarlo whisky berbér) sia per decidere tra di noi la
strada da seguire e le soste da fare. Mumkin è la versione laica di inchallah e
si può inserire, almeno noi lo facciamo, in qualsiasi frase.

I berberi sono
simpatici ed accoglienti ma nei nostri confronti, o almeno in quelli dei
viaggiatori comuni, vivono di luoghi comuni. Per esempio non appena scoprono
che sei italiano dicono tutti gli stessi giri di parole.  Nettamente in testa alla classifica delle
frasi ripetuteci dai berberi vincono “no alpitour? ahi ahi ahi” e “chi va piano
va sano e lontano” (se però non gli stai simpatico diventa ”piano piano c’hai
la testa come l’ano”). Subito dopo vengono “Milano?a.c. milan o inter?” ,
“gattuso!”, “visita alla conceria?”. Per tutti i turisti poi c’è la condanna
del whisky berber, del cous cous con la famiglia e del baratto che a volte sono
piacevoli ma almeno altrettante volte viene voglia di fare altro.

Dopo esserci lasciati
alle spalle le verdi montagne del Rif maciniamo chilometri verso sud con
l’intenzione di raggiungere il deserto nel più breve tempo possibile ma alcune
soste sulla strada sono inevitabili per i paesaggi mozzafiato che ci si aprono
davanti e per dare il il meritato riposo a Rodrigo, il nostro caro mezzo di
locomozione. Ci fermiamo una notte ad Azrou, nel Medio Atlante, una ridente e
ricca cittadina di montagna che di inverno è una stazione sciistica, mentre
un’altra notte ci accampiamo sulle rive di un lago molto scuro e profondo dove
al mattino veniamo svegliati, a parte il berra che continua a dormire, da una
famiglia numerosissima di bertucce. Saranno state almeno una quindicina, e per
lo più si sono dimostrate abili assai nello smonnezzamento e nel litigare fra
di loro. Qui io e il Fonca abbiamo avuto voglia di metterci nudi a spulciarci
come insegnavano loro e ne è venuta fuori una specie di performance che forse
farà storia.

Rodrigo corre sugli altipiani infiniti che precedono la nostra discesa
verso il deserto. E’ il 1° di Maggio e ci viene voglia di fare una deviazione a
tema. Svoltiamo a sinistra e ci dirigiamo verso una zona mineraria abbandonata
nei pressi di Midelt. Così festeggiamo la festa dei lavoratori visitando un
luogo che fu tempio del lavoro e ora in si trova in disuso, abitato dagli
ultimi dei mohicani che ci vivono martellando le rocce in cerca dei pochi
minerali rimasti. Da queste parti una volta c’erano enormi miniere di argento e
di piombo. Ci addentriamo nel nulla sino ad arrivare a un paese fantasma una
volta abitato da numerose famiglie di minatori e oggi abbandonato a se stesso e
abitato da minatori indipendenti e coraggiosissimi che si inoltrano da soli
nelle vecchie miniere per estrarre ciò che è rimasto. Un signore molto gentile
si offre di farci fare un giro nelle miniere e nei villaggi, ci fidiamo e
facciamo bene. Ci porta per
una strada che non viene sistemata dagli anni 70, tipo ponti
di legno marcio e guadi su ruscelli, Rodrigo soffre parecchio ma quando
arriviamo alle cave ..wow!!!

Ai bordi di un fiume dall’acqua marroncina, si sviluppa un susseguirsi
di cave e grotte dove i pochi abitanti rimasti vivono in maniera molto
disagiata ma con moltissimo orgoglio, ci offrono whisky berber cucinato su falò
o fornelletti di fortuna e ci riempono le tasche di fossili e minerali che
altrimenti andrebbero a vendere ai turisti ai bordi delle strade. Non vogliono
niente in cambio, sono solo felici del fatto che ci siamo spinti fino a loro,
alla fine gli diamo un tot di vestiti e li costringiamo ad accettare pochi
dirham per l’averci fatto da ciceroni in questo luogo fuori dal tempo e fuori
dal mondo. La miniera ha chiuso, la società va avanti ma loro sembrano non
farci caso. Anche noi dobbiamo andare avanti: il deserto ci attende. Abbiamo
conosciuto famiglie di soli uomini a cui abbiamo
regalato ciò che ci è rimasto
da dare. Alla fine della giornata siamo molto contenti di aver fatto la
conoscenza di questa gente, veramente povera ma veramente fiera.

A questo punto siamo di buon umore e ci viene voglia di fare anche noi
la nostra May Day. fuori le casse, ci tiriamo in mezzo un gruppo di ragazzini
molto perplessi e iniziamo la street. Sembriamo pazzi ma il cielo è bellissimo
e lo scenario il più adatto possibile, secondo la questura eravamo in quattro
secondo gli organizzatori anche
.

La sera raggiungiamo infine Er Racchidia ultima vera città prima del
deserto che confina con l’Algeria. Qui dormiamo in una bettola e passiamo un
giorno intero a mettere il mezzo a punto per la sabbia e il suolo.
Verso il Sahara
sostiamo nella prima oasi che incontriamo che in realtà si dimostra un vile
campeggio per turisti marocchini ed europei. Qui i bambini sono
organizzatissimi, la sera ti riempiono di regali, chiacchierano e si confidano.
Diventano amici. Ma al mattino appena svegli ci pressano per andare a bere il
the nel negozio dei genitori, facendo il faccino triste e dicendo che gli
avevamo dato la nostra parola d’onore. Quasi costretti e un pò delusi, come i
migliori turisti alpitour, compriamo e scuciamo.

Finalmente Sahara

Berra e Leo

 

PHOTO:

PLANET OF APES 

 

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