PHOTO>>VERSO RABAT

lago di….. 

 

tra rommani e beni mellal 

 

 

 

casbah di rabat 

 

proiezione di un mediometraggio  di studenti francesi nel suk di Rabat 

 

 mslama africa! vista del marocco da tarifa.


 

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PHOTO>>LE CASCATE DI OUZOUD

LE CASCATE DI OUZOUD

 

 

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MAURITANIA PAZZA MAURITANIA

Superata la dogana oltrepassiamo i binari del vecchio treno minerario, composto da decine se non centinaia di vagoni, che trasporta dalle cave nel deserto a Noadhibou le poche risorse della zona. Qui ci si para davanti nuovamente un posto di blocco composto da un militare, col viso totalmente travisato da un turbante, e da un gendarme in borghese che si interessa più di eventuali regali da parte nostra che dei passaporti.
Il sole sta scendendo tra le dune e come da tradizione “hi-fi” arriviamo in città col buio più completo; buio si, perché come anche in alcuni paesini del marocco le uniche luci nella città sono quelle fioche dei negozi o quelle delle macchine…e a Noadhibou ce ne sono davvero tante. Il traffico locale non é immaginabile da chi ha una concezione occidentale della viabilità, nemmeno il peggior rione di Napoli é paragonabile. Esistono due carreggiate separate da un rudimentale spartitraffico di pietre grezze, ma i sensi di marcia sono a discrezione del guidatore; su entrambe si snodano ingorghi di veicoli che procedono in direzioni opposte, talvolta una rotonda a complicare maggiormente le cose.
La cosa migliore é cercare un posto “sicuro” e domani ambientarsi con la luce. Troviamo un grazioso residence con cucina e bagno privato, TV satellitare e “tutte cose”. Il prezzo é 2000 ouguiya o oubaluba o ohibuya o hulabula o guglie o angurie insomma la valuta locale; scopriremo la mattina che i mauritani, probabilmente in buona fede, confondono il numero “2” deux con il numero “10” dix, indipercui il prezzo della stanza era la bellezza di 10000 ugugli o intrugli o ouguyi ovvero 27 neuri più il parcheggio che la sera prima era rimasto fuori dalla trattativa, e per gli standard africani é davvero tanto.
Il mattino dopo sotto un sole cocente ci avventuriamo nel centro città alla ricerca di un cambio: un giovane del posto ci aiuta nell’ardua ricerca; la maggior parte delle banche non effettua il cambio, e nell’unica in cui pare possibile, dopo averci assicurato che c’era uno sportello per il cambio e dopo aver aspettato una buona mezz’ora, ci comunicano che l’addetto é malato e non é possibile effettuare il cambio.
Con la mosca al naso, sia metaforicamente sia nel vero senso della parola, ci facciamo indirizzare nei luoghi in cui si effettua il cambio di valuta del mercato nero, anche questo nel vero senso della parola! Vagliamo svariate ipotesi finché accettiamo l’offerta di un camiciaio che ci offre una cifra piuttosto buona per i nostri 50 euro.
Qui é veramente Africa con la A maiuscola; capre e vacche malconcie girovagano smonnezzando tra cumuli di rifiuti, i negozi di alimentari sembrano ben curati nell’aspetto con le mercanzie ordinate minuziosamente in scala cromatica, i marciapiedi sono fatti di sabbia e conchiglie misti e rifiuti indefinibili.  Molti sono i carretti trainati da poveri asini sofferenti per il traffico di mercedes e pegeout e per le frustate del sonnolento cocchiere. La composizione degli abitanti é variegata: si va dal nero senegalese, al mauritano quasi nero ma con tratti nordafricani, fino ad arrivare al berbero chiaro di carnagione. Le donne rispetto al marocco sembrano leggermente più emancipate nonostante la Mauritania sia una repubblica islamica; probabilmente ai nostri occhi abituati a veli e lunghe tuniche le spalle scoperte risaltano di più, e le donne di qui sono davvero belle. Negozi di scrivani si alternano a rudimentali artigiani e ben poco igienici macellai che espongono grossi pezzi di carne su suzzi tavolacci frequentati da mosche e altri insetti molto interessanti dal punto di vista biologico, ma meno da quello alimentare. Ci fermiamo in un baretto con il tetto di lamiera che dall’esterno sembrava uno dei più meritevoli di fiducia. E’ totalmente vuoto, sia ai tavoli che nella dispensa; quello che ordiniamo, due bibite e un the, arrivano parecchi minuti dopo da fuori, aquistati dal figlio del gestore in un minimarket. Posti per mangiare pare non essercene e forse il vecchio di Cinisello di rientro a piedi dalla Mauritania incontrato alla dogana marocchina non aveva tutti i torti quando con marcato accento milanese ci disse che non aveva mai mangiato così male come in Mauritania, e in generale che cazzo ci andassimo a fare. Ci accontentiamo di una baguette dalla strana consistenza spumosa, ma da un buon gusto spalmata di crema al cioccolato. La nostra giornata si consuma tra una via e l’altra e prima di sera siamo nel nostro residence; una pasta, un film collegando il nostro tecnologico hard disk alla televisione e nanna.
Sventolando i nostri biglietti d’ingresso per il Parco d’Arguin ci dirigiamo di buon’ ora verso il 20° parallelo certi di vedere chissà quali animali migratori; la sorpresa giunge dopo 250 chilometri, alle porte del parco nazionale dove dune enormi ci separano dalla costa per un centinaio di chilometri. Delusi, un po’ amareggiati dato che l’ufficiale del parco nazionale ci aveva assicurato che la strada era agibile e non che non esisteva affatto, ci facciamo una bella foto con l’autoscatto e con il sole che tramonta a sinistra, cosa insolita per le ultima settimane, ci dirigiamo nuovamente verso Noadhibou. Pernottiamo in una specie di campeggio gestito da un simpatico, forse l’unico, mauritano e la mattina siamo di nuovo in dogana a sbrigare tutte le formalità. Siamo carichi, siamo contenti di tornare in Marocco, con i suoi problemi, i suoi pedanti cittadini ma, a differenza della Mauritania, mai deludente da nessun punto di vista, salvo lo smaltimento rifiuti. Ci si para davanti di nuovo il deserto grezzo, come lo chiamo io; fiduciosi di riuscire ad arrivare dall’altra parte, vuoi l’esperienza acquisita qualche giorno prima, vuoi la visione del video africano dei Tomahawk, ci lanciamo su una pseudo-pista incagliandoci pochi metri dopo. Pala e cuore in mano  come dice Leone e giù a scavare, sabbia dappertutto: orecchie, bocca, naso, bocca, genitali, chiappe, ma purtroppo pure sotto e attorno alle cazzo di ruote di Rodrigo. Abbiamo un asse sul tetto che non volevamo nemmeno portare e soprattutto speravo di non voler mai usare; é lei che ci salva, retromarcia e via a scrutare l’orizzonte sperando di individuare il percorso degli altri mezzi. Ci riusciamo. Siamo di nuovo in Marocco. Cazzo ci si sente come a casa, ma l’Africa vera é bella, l’assaggio é stato utile a far capire molte cose difficili da spiegare se non le si ha viste.

FONCA 

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DEMARRER!

Ovvero Stella stellina per favore fai che Rodrigo si accenda domattina.

 Nei 7000 chilometri di strada macinata abbiamo avuto modo di fare conoscenza con intere squadre di meccanici ed elettrauti, o presunti tali. Alla fine dei conti Rodrigo ne ha affrontate davvero tante. Ha retto più di quanto osassimo sperare. Le strade del Rif, il deserto di Merzouga , i passi sull’atlante, il Sahara occidentale, la frontiera mauritana, Nouadhibou, le spiagge, i boschi.  Chi osava immaginarlo?  La prima esperienza coi meccanici maghrebini è stata a Er Rachidia alle porte del sahara  algerino. A dire il vero non è stata una buona prima volta perchè dopo aver lasciato Rodrigo da un meccanico sicuri degli accordi che avevamo preso, cioè di controllarci i freni e di cambiarci 2 gomme, siamo tornati che lui non c’era, mentre noi non capivamo se avesse fatto il lavoro oppue no. Ovviamente non aveva fatto un gazz’. E qui abbiamo capito che è sempre meglio starci insieme ai meccanici, nella buona e nella cattiva sorte.  Siamo stati obbligati a demarrare rodrigo e a portarlo in altri due posti dove ci siamo trovati bene, soprattutto il furgone, anni luce dai meccanici milanesi sempre pronti ad approfittare dell’ignoranza altrui.  Coi loro tempi e seguiti un pò da vicino, i meccanici di qui sono bravi e il lavoro che fanno lo paghi sempre con piacere e con un pò di sorpresa per i bassi prezzi.  Rodrigo ha accusato altri problemini tipo perdite d’acqua, ventola del radiatore quasi andata, crociera dello sterzo, freni una volta, freni una seconda molto più pesante volta. Ma è stato sempre curato affettuosamente e quando il meccanico urlava “Demarrer!” da sotto  il furgone la chiave girava e il motore rombava, alla fine era sempre festa.  Solo che poi, di ritorno dalla mauritania, sono iniziati i guai più seri. Il primo segnale dei mushkilla è stato lo spegnimento della radio, poi quello delle luci dell’abitacolo. Ma l’allarme non è stato da noi preso sul serio. Col senno di poi abbiamo capito cosa stava succedendo.  Abbiamo lasciato i ragazzi pescatori saharawi che ci hanno accolti nella loro casetta sul mare a Tarfaya e ci siamo diretti verso Tan Tan. La strada era dritta come sempre e andavamo spediti quando tutto ad un tratto rodrigo si è spento. Il ragazzo Saharawi che ha cercato di aiutarci, si è accorto di un piccolo incendio nel cofano, una bazzeccola spenta facilmente. Poi ha infilato le mani nel motore e ha iniziato a urlare più volte “demarrer!” “demarrer!” Il Berra gli faceva da eco. Ma la festa stentava ad iniziare, rodrigo emetteva solo un sinistro tac tac tac tac e il buio avanzava. Dopo diversi tentativi (anche perchè all’inizio avevo il quadro spento) di riaccenderlo a spinta, Rodrigo finalmente ha dato un segno di vita.  Siamo riusciti a ripartire ma non è sempre domenica. Le batterie ormai esauste non hanno retto i fari e dopo aver percorso qualche centinaio di metri con il fonca e il berra fuori dai finestrini torce alle mani, decidiamo di fermarci. In discesa per farlo ripartire il mattino seguente, tout droit, terza duna a destra. Ma domani ti prego demarrer!  Ci siamo poi svegliati con un signore incuriosito che parlava un italiano perfetto convinto che fossimo di perugia. Ci ha aiutati con un spinta e siamo ripartiti veloci come il vento. Rodrigo per un pò ce l’ha anche fatta e per bontà sua ci ha abbandonato definitivamente a fianco di un camionista in panne col suo patròn al seguito.  Non ne voleva più sapere niente e non riparte neanche a spinta. Abbiamo quindi deciso di prendere un passaggio per la città più vicina dove ricaricare le batterie però, pensa un pò che sfiga, c’era un black-out fino al tardo pomeriggio. L’ideona ce l’ ha data il signore che ci ha dato il passaggio. Dare le batterie a un tassista che sarebbe andato nella città più vicina e che ce le avrebbe riportate più tardi. Là mushkilla. Il tassista quando le speranze stavano ormai per finire torna per davvero, il Berra urla Demarrer!, possiamo ripartire e cercare finalmente un meccanico di quelli che ci piacciono.  Siamo dunque finalmente arrivati a Tan Tan dove dopo un lungo controllo di polizia abbiamo finalmente avvistato un meccanico vero. Solo che dopo aver passato l’intero pomeriggio al suo fianco ci siamo resi conto che non ne sapeva nulla di quello che stava facendo. Al suo “demarrer” il mezzo si riaccende ma in contemporanea le lampadine dei fari si fulminano. Dopo un’arrampicata di specchi mica da ridere nella quale ha tentato di convincerci che lui il lavoro l’aveva fatto e bene e affermando che con i cavi il furgone si sarebbe rimesso in funzione benissimo, ce ne andiamo senza pagare alla ricerca di un vero elettrauto.  E qui ci siamo divertiti. Abbiamo incrociato un’intera squadra di elettrauti composta da 3 o 4 fratelli, uno col chiodo, uno hipoppettaro, uno gonzo col cappellino di traverso, ognuno con il suo compito e il loro severissimo patròn cioè il loro papà che li comandava a bacchetta con aria socratica dall’alto della sua esperienza. Il problema era l’alternatore che è stato smontato e rimontato più volte. Cala ormai la notte ma loro continuano imperterriti nel loro lavoro. Nell’aria a un certo punto echeggia un ultimo sicuro “demarrer”. Rodrigo romba, i fari funzionano e pure la radio torna a suonare le rime di Gaston, un rapper senegalese.  Ripartiamo alla volta di Marrakech sicuri che domani Rodrigo si accenderà.  LEONE

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PHOTO > ANDATA E RITORNO DAL SAHARA AL MAROCCO, PASSANDO PER LA MAURITANIA

DAKHLA, AI CONFINI DEL SAHARA OCCIDENTALE

RODRIGO NEL DESERTO DEI MAURI

RITORNANDO IN MAROCCO, TAPPA A TARFAYA CON SPAGHETTATA INSIEME AI PESCATORI

LA CREW DI MECCANICI CHE CI HA FINALMENTE SISTEMATO LA DINAMO DEL MEZZO IN QUEL DI TAN TAN

ANCORA DESERTO AKA IL LUNGO VIAGGIO VERSO CASA

MIRLEFT

MARRAKECH EXPRESS, SI RITORNA ALLA CIVILTA’ ?

 

 

 

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DA SIDI IFNI ALLA MAURITANIA

Sulle lunghe spiaggie di Sidi Ifni conosciamo due tra i più simbolici personaggi del marocco: il gatto e la volpe.Con la scusa di un passaggio a Guelmin, dove vivono con la famiglia, ci portano in un villaggio oasi a qualche chilometro di distanza dove facciamo anche la conoscenza, ovviamente davanti a un the, di “lucignolo” il terzo diabolico personaggio della vicenda; forbito, ottimo conoscitore del francese e con una parlantina ammaliatrice.Il villaggio é davvero grazioso, funziona un rudimentale circuito di irrigazione che si snoda nel villaggio con un geniale sistema di chiuse leonardesche. Alla fine del giro però, come tradizione alpitur vuole ci portano dal “mangiafuoco” quarto ed ultimo personaggio.Mangiafuoco é un commerciante di artigianato saharawi/tuareg grosso come una cassapanca, nero e con delle mani così grosse che devi solo augurarti di non litigare con lui. Non é ben chiaro quale fosse di preciso il suo business; di sicuro va fatta una media tra quello che diceva lui, ovvero che portava la sua mercanzia dal cuore della mauritania facendosi 45 notti di cammello, e quello che alcuni di noi scettici pensavano, ovvero che facesse l’ordine col cellulare al bazaar di Guelmin.Sta di fatto che il suo carisma e tutto il contorno, tra teste di antilopi vasi anneriti e l’immancabile the, condito da racconti del deserto, ci ha ammaliato a tal punto da scucirgli una gran bella cifra per acquistare alcuni oggetti. Oltretutto spinto dalla voglia di immergermi nelle tradizioni locali rimedio un massaggio al ginocchio, vittima di un infortunio rimediato in una partitella sulla spiaggia, con del grasso di balena misto a olio di cammello. Ripartiamo alla volta di tan tan plage dove a notte fonda ci fermiamo in un camping esteriormente principesco ma  che delude un  po’ per il vuoto desolante del suo interno.Il primo contatto con i saharawi non é dei migliori, la sera seguente infatti, dopo aver superato la città fortezza Layounne in cui si palpa la non risoluta questione del Polisario, ci fermiamo a Layounne plage in un parcheggio di un baracchino gestito da un autoctono alcolizzato, i cui sogni di indipendentismo si sono infranti in svariate bottiglie di whisky, e stavolta non berbèr ma original. La sua presenza pedante un po’ ci infastidisce ma la scorza é dura grazie al nostro training nelle peggiori serate milanesi; gentilmente gli auguriamo buonanotte una buona dozzina di volte e ci prepariamo per il giorno dopo quando dopo più di 500km giungiamo nell’ultima città del sahara occidentale: Dakhla.I due giorni nel piacevole albergo ci ricaricano le pile prima dello sforzo finale: la Mauritania.Dopo innumerevoli controlli marocchini ci ritroviamo davanti al nulla, groppo in gola, non so se essere eccitato dalla situazione “wild” o essere preoccupato dallo scenario che ci si para davanti. Una ventina di auto bruciate, un campo fiorito di copertoni abbandonati e un numero indefinito di piste più o meno agibili (e quelle meno agibili sono di gran lunga superiori) che si snodano in  una terra di nessuno corollata da mine. Dopo averne provate un paio, una mercedes nera con a bordo 4 pirati della terraferma ci affianca e ci offre da farci da guida per quei pochi ma interminabili chilometri che ci separano dalla frontiera mauritana. La tentazione di farcela da soli é forte, tanto quanto quella di tornare indietro alla dogana marocchina dato che il sole sta tramontando e rimanere una notte nella terra di nessuno ci sembra un po’ troppo da pazzi. Caliamo le braghe, paghiamo 40 fottuti euri che qui fanno mangiare per 2 settimane, e Walid “nasomozzo” alle redini di rodrigo disegnando uno zig zag tra dune rocce e mine ci guida a destinazione.

Ora siamo davvero in Africa: la pelle color cappuccino con differenti variazioni di colori degli abitanti del maghreb viene sostituita da quella nera degli agenti doganali mauritani. I posti di polizia non  sono altro che lerce baracche di legno e coperte piene di mosche e l’aria che si respira, oltre che satura di sabbia non é delle più rilassate. Abbondiamo forse più del dovuto con regali e propine ed eccitati e un po’ spaesati, con le ultime luci del giorno ci dirigiamo verso la seconda città della repubblica islamica della Mauritania: Noadhibou.

FONCA  

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HAMDUL’ILLAH!

  HAMDUL’ILLAH! La parola araba che più si adatta a questo periodo è Hamdul’illah che vuol dire per grazia di Dio o menomale. Siamo partiti da Sidi Ifni e abbiamo percorso più di mille chilometri verso sud superando il tropico del cancro, da un lato le dune dall’altro l’oceano che si infrangeva con violenza su enormi falesie e spiagge chilometriche. Hamdul’illah.

Per grazia ricevuta direttamente da Dio, Rodrigo non si è spaventato e ha continuato a correre fra le dune di sabbia e gli striminziti cespugli. Sempre dritto verso sud, tout drouit, attraversiamo la zona indipendentista del Sahara occidentale. Una zona abitata da gente che al nostro ritorno abbiamo avuto modo di conoscere meglio. Pescatori e nomadi  saharawi che lottano ogni giorno per studiare e lavorare nella loro terra oppressi duramentre dal governo e dalla polizia marocchina, che ci hanno aiutati e accolti nelle loro case senza chiedere nulla in cambio se non un po’ di tempo o una spaghettata. Hamdulillah.

Hamdul’illah spingendoci sempre più in basso abbiamo superato decine di posti di blocco dove abili scribi traslitteravano i nostri nomi in arabo riempiendo polverosi quadernoni e dove ci tenevano a dirti quant’è forte roberto baggio e che cosa fa adesso che ha smesso di giocare.In mezza giornata siamo riusciti, hamdul’illah a valicare la frontiera marocchina dove i poliziotti e i doganieri facevano i di più e chiedendoci che cosa mai andassimo a fare in mauritania. No, Rodrigo non è in vendita.Hamdul’illah Hamdul’illah Hamdul’illah e per grazia di Walid e dei suoi sgherri, siamo anche riusciti ad attraversare i cinque chilometri di pista minata che dividono il marocco dalla mauritania. Una terra di nessuno non per modo di dire ma per davvero: ci siamo ritrovati all’imbrunire, nel nulla, in mezzo alla sabbia, fra decine di macchine bruciate e abbandonate, con un campo minato su entrambi i lati, e 3 piste, se così le si vuole chiamare, fra le quali scegliere. Tornare indietro? La frontiera marocchina ha chiuso e comunque per ritornare serve il timbro mauritano sul passaporto. Tentare la sorte e scegliere la pista che ci sembra la migliore pala e cuore in mano? Il rischio di passare la notte fra cani randagi e gente di cui non fidarsi è meglio è troppo alto. Hamdul’illa, all’ orizzonte si staglia una mercedes nera a bordo Kabir (anzi Akbar) Walid, un ragazzo che il naso se lo è riattaccato con ago e filo e che il sorriso ce lo aveva ma non perchè gli eravamo simpatici. Al suo fianco uno dei suoi sgherri di 14 anni al massimo, in cannottiera lacoste azzurra che aveva un non so che di bambino-soldato cambogiano. Ci propongono un vero affare. Ma davvero. Perchè in quel momento quei puzzusi 40 euro ci son sembrati niente. Hamdul’illa con Walid al volante di Rodrigo arriviamo alla frontiera mauritana. Paghiamo i “cadeu” alla polizia e andiamo verso Nouadhibou. Dietro di noi la frontiera mauritana e sorridenti poliziotti e doganieri in turbante con indosso i piumini e i pantaloni che gli abbiamo lasciato. Davanti a noi la penisola degli sciacalli, nouadhibou, terra di mauri, nomadi, pescatori e senegalesi.Qualche tempo per riprenderci dalle fatiche, con la volontà di capirne di più della mauritania e di vedere gli animali, decidiamo di visitare il parco nazionale della mauritania, il Parc D’Arguin. Sulla strada incrociamo il treno minerario diretto a Choum, forse il più lungo del mondo sta di fatto che sarà andato avanti cinque minuti, cinque minuti nei quali ci accorgiamo che i freni sono andati, rotti, fottuti, cassè. Altri dieci minuti per essere tutti d’accordo che con i soli freni a motore non saremmo sopravvissuti a lungo e cerchiamo un meccanico. Hamdul’illah ne troviamo uno. Qui i meccanici sono una roulotte riconoscibile dalla scritta “michlin o michlein o miclin” e hanno degli strumenti molto particolari. Dopo ore col sole allo zenit passate a lavorare e a discutere ce ne andiamo felici, La Bas alekum, hamdul’illa, col nostro nuovo freno fatto di un tubicino di rame e con due filtri per il gasolio e soldi scambiati. Direzione ancora una volta Parc D’Arguin. Ma non ci arriveremo mai. Il deserto sa essere cattivo e le dune che si prospettano sul nostro cammino sono troppo alte. Questo è il punto più a sud che abbiamo raggiunto, da adesso è nord, è ritorno. Col dispiacere di non vedere luoghi magnifici e conoscere persone interessanti, col dispiacere anche di non aver raggiunto il Mali, ma in fondo soddisfatti del nostro viaggio torniamo verso nord.Per grazia di Dio siamo riusciti ad arrivare in mauritania. Per grazia di Dio pala in mano siamo riusciti anche a tornare indietro. La luna è quasi piena il cammino è più facile. E’ di nuovo sahara occidentale,

hamdul’illah

LEONE

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PHOTO > SEMPRE PIU’ A SUD

 

 

 

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PHOTO > DALLE GOLE DEL TODRA ALL’OCEANO

LE GOLE PROFONDE

 

 

 

 

LA SPIAGGIA DI ESSAOUIRA

 

SAHA AKA RAJA, LE CHIEN DU DESERT

 

MATCH A PALLONE IN QUEL DI AGADIR

 

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PHOTO > VERSO LE DUNE DI MERZOUGA

CASA BLANCA DU DESERT OVVERO IL VILLAGGIO DI MONSIEUR LE PRESIDENT

 

 

IL BUEN RETIRO AL NASSER PALACE E L’ESCURSIONE NEL DESERTO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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